Giornata serena, giusta quanto “Domenica delle Palme” vuole, in qualsiasi periodo dell’anno essa cada, pur se Pasqua sarà al tizzone, dopo un Natale sotto il sole, come proverbi e meteo preannunciano!
Aria tiepida, sospinta da una delicata brezza in viso, ebbra degli effluvi di lentisco e cisto, aleggia il bel viale alberato, dalle belle gemme aulenti rosate, che fiancheggia la lunga teoria di grotte inanimate.
Sugli usci degli ultramillenari antri risplendono, spontanei, mille fiori, alla cura della natura divina, mentre un silenzio etereo s’espande tutt’intorno in celeste armonia con l’apparente assoluta inanime vita.
Quel luogo non è stato sempre così disabitato come ora, così lontano dal mondo. Migliaia di persone vivevano le innumerevoli grotte!
Le armoniche cavità spingevano a valle rumori, accenti familiari, odore di camino acceso, di povera cucina, che a percepirli sprigiona in noi ricordi ancestrali, così come l’odore del mosto del buon vino.
Sciami di bambini felici, scorrazzavano il bel viale alberato, sotto il benevolo sguardo di qualche anziano seduto accanto all’uscio per l’incauto incedere. Tanta vita è passata qua e là ed intorno al nostro “ermo” colle, dai tratti dell’infinito leopardiano. Una lunga storia di ben trenta o quarantamila anni, testimoni quattro rozze pietre che invano tentano di comunicare. E quando l’ultimo abitante di Vitozza, lascia la sua bella e confortevole spelonca, tutto il paese precipita nel vuoto del silenzio assoluto. Storielle, fatti, racconti, nomi e nomignoli, detti, ricordi, tutto perduto, storia e cultura!
Grotta nr. 15 – abitata fino al 1783 da tal Maria Agostina ved. Bartolomeo Brunetti. Detta la Riccia. La parete anteriore della grotta è andata in rovina. Si distinguono il camino ed i vani portavivande. Mentre del luogo, soltanto eloquenti ricordi storici “scritti” dei discendenti dell’aristocrazia “burina” si tramandano. Non basta, per quei signori, aver avuto dalla vita la fortuna di nascere nobili, si ritrovano pure l’immortalità ed una certa immunità dai crimini!
In questa contea si ricorda il dominio dall’860 al 1300 degli Aldobrandeschi, sicuramente “longobardi”, signori contrastati, di Sovana, Sorano e Pitigliano, coinvolti spesso in sanguinose lotte contro Siena. La loro dinastia finì con la contessa Margherita, figlia di Ildobrandino che, andata in sposa a Guido di Monfort, da cui si separò per la sua caduta in disgrazia negli ambienti aristocratici, risposandosi ben altre cinque volte. Matrimoni legittimi e morganatici, da cui ebbe una sola figlia, Anastasia. Di cui non ci è dato sapere con chi l’avesse concepita. La nostra Anastasia il 25 ottobre del 1293, andò in sposa a Romano di Gentile Orsini, di nobile famiglia romana, portando in dote il feudo materno.
Lasciando scorrere la dinastia di questa potente famiglia ci riportiamo al 1575, al triste ricordo di quell’Orsini che in quell’anno infamò la contea con un orrendo crimine. La storia ricorda un po’ quella di Paolo e Francesca di dantesca memoria:
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Orso Orsini, conte di Soana e Pitigliano, vendicò il suo amore tradito, strangolando la moglie su Poggio Sterzoni, gettandola poi nella forra sottostante. La donna rea di infedeltà coniugale, per una relazione con Ottavio Farnese.
Il conte per quel reato restò impunito, come la sua casta vuole. Ma la povera gente, a modo suo, condannò quell’atto e vendicò l’omicidio, chiamando quel luogo, a futura memoria, Poggio Strozzoni. Motivo per cui oggi veniamo a conoscenza anche noi di quel fatto! Un'altra vittima, di quella tresca amorosa, fu Ottavio Farnese, amante della contessa, che forse era anche imparentato con gli Orsini!
Il Farnese venne invitato da Orso ad una battuta di caccia al cinghiale nella nota Selva del Lamone e fu “involontaria” vittima di un colpo di fucile sparato alle spalle! Quella bella e tempestosa Selva che ben conosciamo e che briganti a noi noti, oltre quel fatto, hanno macchiato di orrendi crimini.
Ma del luogo occorrerebbe parlarne di più. Sorano, come Soana, devono il loro nome probabilmente ad Apollo Sorano, come Monte Soratte e forse Soriano al Cimino ed altre località dell’Alto Lazio. Luoghi legati in qualche modo al rito degli Hirpi Sorani” ed alle festività “lupercali”.
Sorano era di origine etrusca, a meno che non vogliamo nascondere la via cava di San Rocco ed altre emergenze coeve, non venne eretta dopo la conquista romana (III sec. A.C.) , come taluni affermano. Dipendeva dall’egemone Soana, che troviamo alleata dei Tarquini, con i Volsinii, contro la emergente Vulci (“Velx”), nel periodo di dominio etrusco di Roma. Sarà poi Macstarna, valido combattente vulcente, forse schiavo affrancato in quella Vulci, a divenire sesto re di Roma., con il nome di Servio Tullio, nel 539 a.C., Il tutto con il placet dei Principi Vulcenti Celio e aulio Vibenna. Come gli splendidi affreschi della Tomba Francois ricordano!
Via Cava di San Rocco
Vanì, 13-04-2014